I Tempi Cambiano
Se c’è una verità assoluta nella vita, è che tutto scorre, tutto muta. I tempi cambiano, e con essi anche noi, le nostre abitudini, le nostre relazioni, il nostro modo di vivere e percepire il mondo. Oggi, a distanza di quarant’anni da quando avevo diciotto anni, mi trovo a riflettere su quanto sia cambiata la società, e su come il progresso tecnologico abbia rivoluzionato la nostra quotidianità.
Quando ero giovane, la vita scorreva diversamente. Non avevamo smartphone né computer, e la comunicazione avveniva in modo diretto, faccia a faccia o, al massimo, attraverso il telefono fisso. Per incontrarsi si dava un appuntamento e ci si presentava, senza la possibilità di mandare un messaggio all’ultimo minuto per dire “ritardo di cinque minuti”. La parola data aveva un peso e un valore che oggi sembra essere svanito. Si parlava di più, ci si guardava negli occhi, e si viveva con una consapevolezza più radicata nella realtà.
I Tempi Cambiano con la Tecnologia
La tecnologia ha fatto passi da gigante e sarebbe ingiusto non riconoscerne i benefici. Pensiamo alla medicina, dove oggi possiamo curare malattie che un tempo erano letali, o alle comunicazioni, che ci permettono di essere connessi con il mondo intero in un istante. I tempi cambiano anche per le pratiche burocratiche, un tempo interminabili, oggi si possono gestire con un click. Viviamo in un’epoca di accessibilità, rapidità e convenienza che ha reso molti aspetti della vita più semplici e immediati.
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Eppure, tirando le somme, non riesco a non vedere come l’umanità abbia perso qualcosa di fondamentale. Il contatto umano sembra essersi dissolto in una realtà virtuale fatta di schermi e notifiche. Le nuove generazioni, immerse in questo mondo digitale fin dalla nascita, spesso faticano a costruire relazioni profonde e autentiche. La pazienza è diventata un lusso, la riflessione un’attività rara, e il silenzio quasi intollerabile. Viviamo in un’epoca in cui tutto deve essere veloce, dove l’attesa è vista come un difetto e non come un’opportunità per pensare e crescere.
Il Paradosso del Progresso
C’è una sorta di paradosso nel progresso. Ci sono più strumenti per comunicare, ma parliamo meno. Abbiamo più conoscenza a portata di mano, ma riflettiamo meno su ciò che sappiamo. Abbiamo più comodità, ma sembriamo più stressati e insoddisfatti. Il problema non è la tecnologia in sé, ma il modo in cui la stiamo usando, lasciandoci sopraffare da essa invece di renderla uno strumento al nostro servizio.
I tempi cambiano e forse non possiamo fermare il cambiamento, ma possiamo scegliere come affrontarlo. Possiamo decidere di riscoprire l’importanza della presenza, della conversazione senza interruzioni, dello sguardo negli occhi. Possiamo ancora coltivare l’umanità in un mondo che sembra sempre più disumanizzarsi. I tempi cambiano, ma sta a noi decidere se farci travolgere o se trovare un nuovo equilibrio tra progresso e umanità.
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Come in ogni cosa c’è un punto di equilibrio spezzato il quale è tutto un precipitare verso il basso. La tecnologia, il progresso, è tutto bello (io sto ancora pensando a quando scrissi la mia tesi di laurea con la macchina da scrivere per poi farmela battere al computer da un amico che aveva una cartolibreria); l’avvento di internet, l’informazione che vuoi quando vuoi dove vuoi, certo che sono state innovazioni che hanno reso migliore la vita di tutti, ma poi si è andati oltre il limite accettabile, ora siamo nell’era dell’IA, ormai i ragazzi fanno tutto con il cellulare senza cui si sentono perduti. Ecco il piano inclinato: hai messo la palla a scivolare lungo l’asse in discesa e ora quella palla prende sempre più velocità. La sua corsa è inarrestabile…
La tua immagine del piano inclinato è potente e rende bene l’idea di come il progresso, se non governato, possa trasformarsi da strumento a padrone. La differenza tra un’innovazione benefica e una che ci sfugge di mano sta tutta nella nostra capacità di gestirla con consapevolezza. Il problema non è l’intelligenza artificiale o il cellulare in sé ma il fatto che rischiamo di dimenticare come vivere senza di essi. I ragazzi di oggi non hanno conosciuto un mondo senza tecnologia e spesso la subiscono più che usarla con spirito critico. Forse dovremmo insegnare loro non tanto a rinunciarci ma a usarla meglio, sviluppando quel senso del limite che impedisce alla palla di accelerare senza controllo. Non dobbiamo tornare indietro, dobbiamo cercare di non smarrire la nostra capacità di decidere la direzione del viaggio.
A presto.
Eh sì si dovrebbe avere più possibilità di comunicare fra cellulari, app di messaggistica, programmi per riunioni online, social network e invece alla fine siamo tutti così “soli”. Con il nostro cellulare a fissare un monitor. Io rimango alla vecchia, preferisco parlare faccia a faccia. Il telefono lo uso anche io, la sera solitamente chiamo i miei. Ma almeno una volta in settimana vado a trovarli. Ogni tot tempo mi trovo con mio fratello e famiglia. Ma amo il faccia a faccia. Non mi piace il telefono alla fine. Serena giornata
La tua scelta di mantenere il contatto diretto con la tua famiglia, di coltivare il dialogo autentico e non lasciarti intrappolare dallo schermo, è un atto di resistenza consapevole contro questa deriva. Il faccia a faccia porta con sé un’intimità che nessuna videochiamata potrà mai replicare del tutto. Alla fine, il vero rischio non è tanto l’uso del cellulare ma l’abitudine alla distanza emotiva che esso può creare. Sta a noi scegliere se restare dietro uno schermo o tornare a guardarci negli occhi.
Ti auguro anch’io una buona giornata.
Esatto come dici tu l’abitudine alla distanza emotiva … così una persona non prova nemmeno più empatia. Non sa cosa sia. E si diventa freddi l’uno con l’altro. Ci si scaglia addirittura uno contro l’altro. Io continuo la mia “resistenza” 🙂 serena giornata
Il rischio è proprio quello che dici: non solo ci si allontana, ma si diventa indifferenti, e da lì il passo verso l’aggressività è breve. Senza il contatto umano autentico, senza la capacità di mettersi nei panni dell’altro, la società si raffredda, e le relazioni si riducono a interazioni superficiali. La tua “resistenza” è un atto di grande valore, perché ogni gesto autentico, ogni incontro reale, è una piccola scintilla che tiene viva l’umanità. Continua così!
Già ecco perchè poi ci sono tanti leoni da tastiera, perchè la gente si allontana, perde empatia e giudica e aggredisce l’altro. Quindi bisogna resistere e fare del nostro meglio tutti per migliorare questa società che sta andando alla deriva. Buongiorno e buon fine settimana
Buon fine settimana anche a te!
Dovremo essere noi che ne parliamo a iniziare qualcosa di meno spersonalizzante.. sui blog e i social si mantiene l’anonimato oppure facciate fittizie, a volte scambi pareri anche confidenziali e non hai la minima idea della persona cui stai concedendo parte di te. C’è anche questa deriva di distacco che, in contrapposizione all’apertura di una vasta platea di consultazione, ci fa rimanere in una nicchia protetta e un po’ fasulla. Spesso non sappiamo chi è il nostro interlocutore e neanche da dove scrive e come o dove viva. Una freddezza di rapporti figlia di questo progresso meccanizzato che ci mette tutti sulla stessa linea, incapaci di personalizzarci, incapaci di svelarci.
La tua riflessione tocca il paradosso della comunicazione digitale. Da un lato, ci offre una platea immensa, dall’altro ci relega in bolle di interazione spesso impersonali. È vero che l’anonimato e le identità fittizie possono creare una distanza, ma c’è anche un altro lato della medaglia.
Nei blog, ad esempio, il fatto di non sapere il nome, il volto o la professione di chi scrive può essere una forma di libertà. Si azzerano barriere sociali, si mettono da parte pregiudizi inconsci e si dà più spazio alle idee piuttosto che all’apparenza o allo status di chi le esprime. Qui non importa se uno è giovane o anziano, se fa l’operaio o il professore, se vive in città o in campagna: ciò che conta è ciò che scrive, il suo pensiero. Ma questo non significa che il rapporto debba essere freddo o distaccato. La chiave, come sempre, sta nell’uso che facciamo degli strumenti. Possiamo scegliere se rimanere chiusi in una nicchia “fasulla” o se usare questi spazi per costruire dialoghi autentici, anche senza sapere tutto dell’altro. La vera sfida è mantenere l’umanità anche dietro uno schermo, senza lasciarci appiattire in una comunicazione automatizzata e superficiale.
Ti auguro una buona serata.